Giovanni Galeone non è stato solo l’allenatore del calcio “champagne” che riportò il Pescara in Serie A nel 1987. È stato l’incarnazione di una città in fermento, esuberante e sognatrice, capace di vivere al di sopra delle proprie possibilità con orgoglio e stile. Il suo legame viscerale con Pescara ha segnato un’epoca, trasformando il “Profeta” in un’icona della pescaresità. Un mito che resiste al tempo, tramandato di padre in figlio, come un racconto epico che unisce calcio, cultura e identità
PESCARA – “Galeone, Gale Galeone” chi non l’ha mai intonato tra i tifosi del Pescara? La grandezza del “Profeta” si misura dal fatto che anche chi non l’ha vissuto ed è più giovane, ha il mito di Galeone. Non era solo l’allenatore della serie A con il calcio “champagne” era un pescarese vero, pur non essendo nato a Pescara. Un rapporto viscerale tra il tecnico di Udine e la città dannunziana unito dal sole, dal mare, dall’esuberanza e dalla bella vita.
Galeone aveva amato e capito i pescaresi e i pescaresi lo avevano accolto, coccolato e hanno sempre creduto in lui. Perché era un leader, un positivo, un amante del bello. Giovanni Galeone ha rappresentato anche il boom di Pescara, passata da piccola città di provincia a centro del divertimento e del turismo abruzzese. Alla fine degli anni ‘80 nel capoluogo adriatico si viveva tra i bar del centro, i fiori di piazza Salotto e piazza 1 maggio, l’apertura della nuova Stazione.
Si viveva anche con il gusto nel vestirsi con Paride Albanese e Benetton. E poi, il ritorno in serie A del Pescara nel 1987. Una stagione trionfale che arriva grazie ad un calcio spumeggiante, divertente, unico, spavaldo, esuberante, bello. Una filosofia di vita, riflessa sul rettangolo verde. Il Profeta diceva: “Di Pescara mi piace quel suo essere sempre in movimento, quel po’ di sana sbruffoneria, quel voler vivere alla grande, magari anche al di sopra delle proprie possibilità ma sempre con la convinzione di potercela fare”. Poche, vere parole che descrivevano sia la città e sia la squadra allenata da Galeone. Ecco questo amore viscerale, nasce proprio da questo modo di vedere sia la vita e sia il calcio. Perché con Galeone contava lo spettacolo e non il risultato. È una mentalità, un modo di essere che si può amare e condividere o odiare e discordare. Non esisteva e non esiste la via di mezzo.
Galeone e Pescara erano le due metà del mito dell’androgino raccontato da Platone nel “Simposio”, che dopo un lungo percorso si sono trovati e non si sono lasciati più, tornando ad essere l’essere perfetto tanto temuto e invidiato dagli dei. Con Galeone va via un’icona della pescaresità, un tempo bello da tramandare di padre in figlio affinché il ricordo del “Gale” resti indelebile nei cuori e nelle menti dei tifosi biancazzurri e non solo.