“Picchia! Accoltella! Massacra, non ti far intimidire”. L’organizzazione, guidata da un boss legato alla ’ndrangheta, gestiva lo spaccio di ingenti quantità di cocaina, hashish ed eroina, ricorrendo a violenze e a un vero arsenale di armi da guerra per imporre il controllo sul territorio
ANCONA – Chili di droga smerciati tra Marche e Abruzzo, intimidazioni e minacce per imporre il controllo sul territorio, una rete criminale strutturata che faceva ricorso anche ad armi da guerra. È quanto emerso dall’operazione “Grandsons 2” condotta dalla Polizia di Stato, che ha portato a 14 arresti e a un totale di 27 indagati per reati legati al traffico di stupefacenti. L’organizzazione era attiva anche nel Teramano, in particolare nella zona di Controguerra.
È quanto è emerso nell’ambito dell’operazione “Grandsons 2” dalla polizia di stato, scattata nelle prime ore della giornata di oggi e che ha portato 27 persone ad essere indagate per vari reati, quattordici delle quali sono state arrestate.
“Picchia! Accoltella! Massacra, non ti far intimidire”. Con queste parole il boss calabrese, 50 anni, in passato legato alla cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura della ’ndrangheta, impartiva ordini ai suoi affiliati per punire chi non rispettava i pagamenti della droga. Il gruppo, formato da soggetti di origine calabrese e albanese, impiegava anche minori come corrieri e donne nel taglio e confezionamento degli stupefacenti. Cocaina, hashish ed eroina venivano smerciate regolarmente, con una stima di almeno tre chili al mese e un volume d’affari mensile di decine di migliaia di euro. Il centro operativo era una villa abusiva a San Benedetto del Tronto, decorata con mosaici e statue di leoni, dotata di videosorveglianza e protetta da sentinelle all’esterno nei giorni di consegna della merce.
Nel corso delle indagini sono state sequestrate due pistole a tamburo, un fucile a canne mozze modificato per aumentarne la potenza offensiva e una bomba a mano, rinvenuta interrata in un involucro di vetro non lontano dall’abitazione del boss. “Le varie organizzazioni che investighiamo raramente detengono tutte queste armi funzionanti e forse pronte a essere usate – ha spiegato Niccolò Battisti, dirigente della Scico –. Nella fase delle indagini il completo utilizzo non è mai avvenuto: servivano più per intimidire, però comunque le avevano e le tenevano nascoste”.
Nonostante cinque arresti in flagranza, l’attività criminale non si è mai interrotta: le direttive partivano anche dalle carceri di Ascoli Piceno, Teramo e Ferrara, dove i capi continuavano a impartire ordini tramite telefoni cellulari introdotti illegalmente. “Le indagini hanno permesso di scoprire un’unione tra soggetti albanesi e calabresi – ha affermato Monica Garulli, procuratrice della Repubblica di Ancona e della Direzione distrettuale antimafia –. La riproposizione di metodi violenti nei confronti di chi poneva la resistenza è un fattore allarmante, così come lo è il fatto che il sodalizio criminale ha proseguito la sua attività anche nei carceri usando apparati telefonici. Anche questa disponibilità è inquietante, – ha osservato – perché nel corso delle attività tecniche si è appurato che le conversazioni avvenivano per dare direttive all’esterno del carcere”.
L’operazione ha coinvolto oltre 100 operatori della Polizia di Stato, con interventi coordinati in diverse province, tra cui Ascoli Piceno, Monteprandone, Controguerra e Imperia. Le ordinanze sono state eseguite con il supporto delle Squadre mobili di Ancona, Chieti, Fermo, L’Aquila, Macerata, Perugia, Pesaro, Pescara, Teramo, Terni, Potenza e Imperia, coadiuvati da personale del Reparto prevenzione crimine di Pescara, dalla Squadra cinofili antidroga di Ancona e Roma, e del Reparto volo di Pescara, sotto il coordinamento del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato.
Nell’esecuzione delle misure cautelari, ha prestato collaborazione la Polizia penitenziaria del carcere di Ascoli Piceno, dove sono state eseguite tre delle 14 ordinanze, con relative perquisizioni delle celle detentive.