I fatti risalgono al 2017. I giudici parlano di “lesione alla dignità personale verificatasi sul luogo di lavoro”
L’AQUILA – Una lunga battaglia legale iniziata tra le linee di montaggio della ex Sevel-Fca, oggi Stellantis, si è conclusa con una sentenza che ribadisce un principio fondamentale: il rispetto della dignità del lavoratore non può essere calpestato. A oltre otto anni dall’episodio che ha scosso l’opinione pubblica e sollevato interrogativi sul trattamento dei dipendenti nelle grandi fabbriche, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da Stellantis, confermando così le decisioni dei giudici di primo e secondo grado.
Il fatto risale al febbraio 2017. Un operaio, durante il proprio turno di lavoro nello stabilimento abruzzese, non ottenne il permesso di recarsi in bagno. Si urinò addosso e non gli fu nemmeno consentito di cambiarsi. Un’umiliazione profonda, documentata e riconosciuta dai giudici come “una lesione alla dignità personale verificatasi sul luogo di lavoro”, in violazione dell’articolo 2087 del codice civile, che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e morale dei propri dipendenti.
La Corte d’Appello dell’Aquila aveva già confermato la sentenza del Tribunale di Lanciano, che riconosceva l’abuso subito dal lavoratore. Ora la Cassazione, con l’inammissibilità del ricorso dell’azienda, chiude il cerchio e condanna Stellantis anche alla rifusione delle spese legali, disponendo che, in caso di diffusione dell’ordinanza, siano omessi i dati identificativi del lavoratore, in base alle normative sulla privacy.
La vicenda ebbe una vasta eco mediatica e provocò una mobilitazione immediata. L’Unione Sindacale di Base (Usb) proclamò uno sciopero e offrì al lavoratore assistenza legale. Oggi, a distanza di anni, il sindacato esprime “soddisfazione per una sentenza che restituisce dignità a un lavoratore che ha avuto il coraggio di intraprendere un percorso giudiziario per evitare che episodi simili potessero ripetersi”.
Ma non fu solo il lavoratore a finire al centro delle conseguenze giudiziarie. Fabio Cocco, all’epoca coordinatore regionale di Usb Lavoro Privato, fu denunciato insieme a lui per diffamazione aggravata a mezzo stampa. Quella vicenda parallela si concluse nel 2020 con l’archiviazione da parte del Gip del Tribunale di Lanciano. Cocco è scomparso prematuramente, e proprio a lui il sindacato dedica questa vittoria: “Fu tra i primi a denunciare l’accaduto e a sostenere il lavoratore nei momenti più difficili”.
L’Usb rivolge infine un ringraziamento all’avvocato Diego Bracciale del Foro di Chieti, che ha seguito il caso con “professionalità e rigore” portando a una sentenza che, sebbene arrivi a distanza di anni, getta un messaggio chiaro: nessuna logica produttiva può giustificare la violazione della dignità umana.