Rigopiano, chiesti 3 anni e 10 mesi per sei dipendenti della Protezione civile. Il pg: “La prevenzione era possibile e dovuta”

21 Novembre 2025
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Strage di Rigopiano

Il procuratore generale Paolo Barlucchi ha chiesto 3 anni e 10 mesi per sei dipendenti della Protezione civile regionale, accusando una mancata prevenzione e tirando in ballo l’assenza della classificazione valanghiva

PERUGIA – Il sostituto procuratore generale di Perugia, Paolo Barlucchi, ha chiesto una condanna a tre anni e dieci mesi per i sei dipendenti della Protezione civile regionale dell’Abruzzo, imputati per omicidio colposo plurimo non aggravato e crollo di costruzioni colposo aggravato dalla verificazione del danno.

Il processo, in corso davanti alla Corte d’Appello di Perugia, è stato disposto dalla Cassazione che, lo scorso 4 dicembre, oltre a confermare la condanna per falso dell’allora prefetto di Pescara Francesco Provolo, ha annullato le condanne dell’ex sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, di un tecnico comunale e di due tecnici della Provincia, rinviandole in parte alla stessa Corte umbra. I sei dipendenti regionali – assolti in primo e secondo grado dalle accuse di disastro, lesioni e omicidio colposi – tornano quindi alla sbarra nel nuovo giudizio d’appello.

Durante la requisitoria, Barlucchi ha richiamato passaggi chiave della sentenza della Cassazione, secondo cui «era possibile e anche dovuto» prevenire la tragedia del 18 gennaio 2017, quando l’hotel Rigopiano fu travolto da una valanga che costò la vita a 29 persone. Gli Ermellini, ha ricordato il procuratore, affermano che «la prevenzione ‘regina’ per l’incolumità individuale e collettiva, vale a dire l’identificazione di Rigopiano come sito valanghivo, avrebbe dovuto attuarsi non a disastro naturalistico inverato, né nel corso e nemmeno nell’imminenza della sua verificazione». Tale classificazione «avrebbe dovuto precedere di molto l’evento» perché avrebbe comportato «il divieto di accedervi oppure di utilizzare le strutture in esso presenti ovvero ne avrebbe imposto un uso disciplinato».

Barlucchi ha ribadito la responsabilità degli imputati: «Se solo si fosse ragionato, mettendo in fila gli elementi che la natura stava mettendo davanti agli occhi degli attuali indagati, nulla di tutto questo sarebbe accaduto». Il sostituto procuratore ha poi denunciato una criticità sistemica: «L’ostacolo principale nel nostro Paese è la mentalità con cui guardiamo alla prevenzione, alla quale non crediamo fino in fondo». E ha aggiunto: «La legge deve essere adempiuta: se ci fosse stata la Clpv (Carta di Localizzazione Probabile delle Valanghe) si sarebbe dovuto agire di conseguenza».

Secondo Barlucchi, la mancata classificazione valanghiva è stata determinante: «Se fosse stata fatta, non sarebbe successo quanto accaduto». Nella precedente udienza, lo stesso procuratore aveva inoltre chiesto condanne per i due tecnici della Provincia di Pescara, per l’ex sindaco Lacchetta e per il tecnico comunale, anch’essi coinvolti nel nuovo giudizio sulla catena di responsabilità legata alla tragedia.

Tra i parenti delle vittime presenti all’udienza, Rossella Del Rosso, sorella del gestore dell’hotel, ha affermato: «Finalmente un giudice ha detto chiaramente che il 18 gennaio 2017 in Abruzzo non si sapeva chi comandasse». Una tesi dice Del Rosso «che noi familiari abbiamo sempre sostenuto e che purtroppo che ci vede a constatare anche nel processo attuale che mancano proprio gli esponenti principali della protezione civile, la Regione, la Provincia, la prefettura e la Dicomac che avrebbe dovuto monitorare lo sciame sismico anche in Abruzzo».

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