Sfruttata e sorvegliata h24: donna costretta a lavorare 18 ore al giorno in un bar del Chietino

12 Novembre 2025
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Foto di repertorio

L’Aquila, indagine per riduzione in schiavitù: la vittima dormiva nella cucina del locale, senza contratto né stipendio

CHIETI – Una donna costretta a vivere e lavorare in condizioni disumane, priva di ogni libertà personale e di autodeterminazione. È la vicenda al centro dell’inchiesta aperta dalla Procura distrettuale dell’Aquila per il reato di riduzione e mantenimento in schiavitù, prevista dall’articolo 600 del codice penale.


Secondo quanto emerso, la vittima – descritta dagli inquirenti come in una condizione di “inferiorità psichica” e di fragilità aggravata da un’“assenza di alternative esistenziali validamente percorribili” – sarebbe stata costretta a lavorare in un bar fino a 18 ore al giorno. Viveva nello stesso locale, dormendo su un divano nella cucina e sorvegliata costantemente da una telecamera.

Nonostante l’attività quotidiana estenuante, la donna non percepiva alcun compenso: ufficialmente risultava amministratore della ditta, dettaglio che consentiva alla titolare di eludere ogni obbligo contrattuale.
L’indagine, sviluppata dai carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro in un piccolo centro della provincia di Chieti, ipotizza a carico della titolare, una 43enne, la costruzione di un sistema di sfruttamento “metodico e assoluto”, tale da trasformare un rapporto di lavoro in una condizione analoga alla schiavitù.

Il pubblico ministero Roberta D’Avolio, titolare del fascicolo, ha ricostruito un quadro di soggezione continuativa, nel quale la vittima sarebbe stata privata della possibilità di interrompere o modificare la propria condizione. Le indagini proseguono per accertare la piena portata delle responsabilità e verificare eventuali altri episodi di sfruttamento.

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