Il deputato dem sull’esito del processo a Chieti: “Derubricare da omicidio volontario a preterintenzionale è un gioco di prestigio giuridico che indebolisce la lotta ai femminicidi”
CHIETI – La sentenza della Corte d’Assise di Chieti sull’omicidio di Alina Cozac, la donna uccisa a Spoltore, continua a far discutere. A intervenire con toni duri è il deputato abruzzese del Partito Democratico, Luciano D’Alfonso, che in una nota parla di una decisione “che rischia di tradursi in una insostenibile contorsione della Giustizia e della norma”.
Secondo l’esponente dem, la scelta di derubricare l’accusa da omicidio volontario a preterintenzionale sulla base della durata della stretta al collo esercitata dall’imputato appare “quantomeno difficile da comprendere”: “Sarebbe come dire – osserva D’Alfonso – che il compagno voleva ucciderla, ma non troppo. Il diritto non può essere stiracchiato o sbrindellato come un elastico in virtù di valutazioni emozionali”.
L’ex presidente della Regione Abruzzo evidenzia inoltre come una simile lettura “manderebbe in archivio anni di battaglie sul femminicidio che hanno portato al Codice Rosso”. E aggiunge: “Non credo che fossero queste le intenzioni dei magistrati giudicanti, ma di certo questa sentenza non chiude una vicenda drammatica che ha segnato il nostro Abruzzo. Non può essere ridotta a un numero nelle statistiche di fine anno”.
Il parlamentare sottolinea anche i rischi di un precedente giurisprudenziale: “Se la logica è che la stretta al collo è durata pochi minuti o secondi e dunque non c’era intenzione di uccidere, si apre un caso-scuola che rischia di rendere incomprensibili e inaccettabili le future sentenze”.
D’Alfonso conclude affidando agli ulteriori gradi di giudizio il compito di correggere, eventualmente, l’impostazione: “Spetterà alla magistratura, che certamente verrà interpellata, decidere se aggiustare o meno il tiro di una lettura della norma che rischia di essere apripista di decisioni difficili da accettare”.