I giudici di Chieti riconoscono l’omicidio preterintenzionale aggravato. Respinta la richiesta di ergastolo della Procura, la difesa annuncia battaglia
CHIETI – La Corte d’Assise di Chieti ha condannato a 18 anni di reclusione Mirko De Martinis per l’uccisione della convivente, Alina Cozac, avvenuta nella notte del 22 gennaio 2023 a Spoltore. I giudici hanno riqualificato l’accusa di omicidio volontario aggravato in omicidio preterintenzionale aggravato, una scelta che ha ridotto sensibilmente l’entità della pena rispetto alla richiesta della Procura, che aveva invocato l’ergastolo.
La sentenza è arrivata dopo oltre due ore e mezza di camera di consiglio. Oltre alla condanna, De Martinis è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e dovrà risarcire i danni alle parti civili in separata sede. L’uomo, che si trova agli arresti domiciliari, ha assistito anche a quest’ultima udienza del processo. In aula, per le parti civili, era presente Maria Magdalena Cozac, sorella della vittima, assistita dagli avvocati Valter Biscotti, Alessandra Lepri e Fernando La Rovere.
La vicenda giudiziaria ha vissuto una svolta lo scorso marzo, quando la Corte d’Assise ha disposto una perizia medico-legale per chiarire le cause della morte, ritenendo “contrastanti e inconciliabili” i risultati degli accertamenti tecnici presentati dalle parti. La perizia, affidata al medico legale Roberto Testi, direttore di medicina legale della Asl di Torino, e all’anatomo-patologo Stefano Taraglio, ha stabilito che la causa del decesso di Alina Cozac fu “asfissia meccanica da compressione al collo”.
Secondo l’accusa, il movente sarebbe stato la decisione della giovane donna di lasciare il compagno per andare a vivere da un’amica. “Alina – ha detto in aula la pm Mantini – conviveva per necessità con l’imputato. Aveva deciso di cambiare vita, di recuperare la propria libertà. Era una donna piena di vita e di desiderio di autonomia”.
Di segno opposto la linea della difesa. L’avvocato Michele Vaira ha sostenuto l’assenza di prove certe a carico del suo assistito e ha indicato come possibile causa del decesso una patologia di cui la vittima soffriva, ribadendo la richiesta di assoluzione “perché il fatto non sussiste”.