A Chieti la speranza contro la depressione resistente: al via la sperimentazione con fungo allucinogeno

9 Luglio 2025
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Una terapia psichedelica per curare chi non risponde ai farmaci tradizionali: in Abruzzo parte uno studio con la supervisione dell’Istituto Superiore di Sanità

CHIETI – Chieti diventa il centro di una sperimentazione senza precedenti in Italia: per la prima volta, una sostanza psichedelica viene utilizzata in un contesto clinico per il trattamento della depressione resistente. Si tratta della psilocibina, un composto naturale presente in alcune specie di funghi, noto per i suoi effetti allucinogeni ma anche, come recenti studi internazionali suggeriscono, per un potenziale effetto antidepressivo rapido e duraturo.

Lo studio, autorizzato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), sarà condotto presso la Clinica Psichiatrica dell’Ospedale di Chieti, diretta dal professor Giovanni Martinotti, in collaborazione con il Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche dell’Università “G. d’Annunzio”, la ASL Roma 5 e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti” di Foggia. Il progetto è finanziato con fondi PNRR e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità sotto la supervisione della dottoressa Francesca Zoratto, principal investigator.

L’obiettivo è chiaro: valutare l’efficacia della psilocibina in 68 pazienti affetti da depressione resistente, ovvero non responsiva ai trattamenti farmacologici tradizionali. Il protocollo prevede 24 mesi di lavoro, durante i quali saranno impiegate tecniche avanzate di neuroimaging e neurofisiologia per monitorare gli effetti della molecola sul cervello. L’intento è duplice: da un lato individuare biomarcatori cerebrali utili a predire la risposta al trattamento; dall’altro, aprire la strada a nuove strategie di psichiatria di precisione.

La psilocibina, una volta assunta, viene trasformata in psilocina, che agisce sui recettori della serotonina, modulando le reti cerebrali implicate nell’umore, nella percezione e nel pensiero. Studi condotti in Stati Uniti, Regno Unito, Svizzera e Australia hanno già dimostrato che una o due somministrazioni possono portare a significativi miglioramenti clinici, con effetti persistenti fino a sei mesi.

“Siamo di fronte a un cambio di paradigma sia scientifico che culturale – sottolinea Giovanni Martinotti, professore ordinario di Psichiatria all’Università di Chieti – che ci permette di comprendere meglio il potenziale terapeutico della psilocibina e le sue modalità di azione. È una grande opportunità per la ricerca italiana e per migliorare concretamente le cure nel campo della salute mentale”.

Anche Francesca Zoratto evidenzia il valore pionieristico dello studio: “Per la prima volta potremo valutare l’efficacia della psilocibina in un contesto rigorosamente controllato e clinicamente supervisionato, ma anche esplorare forme innovative, come quella non psichedelica, in grado di mantenere i benefici terapeutici eliminando gli effetti allucinogeni”.

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