Per il Tribunale dei Minori persistono diffidenza, isolamento e gravi carenze educative: la maggiore dei tre figli non sa leggere né scrivere
L’AQUILA – Resta alto il livello di preoccupazione attorno alla vicenda della famiglia che viveva nel bosco di Palmoli. Dall’ordinanza del Tribunale per i Minorenni dell’Aquila emergono infatti nuove criticità e una persistente diffidenza dei genitori nei confronti dei servizi sociali e delle istituzioni.
I giudici parlano di un atteggiamento “rigido” da parte di Nathan e Catherine, che continuerebbero a rifiutare un percorso condiviso di socializzazione e scolarizzazione per i loro tre figli, limitando di fatto la possibilità di un reinserimento sostenuto e graduale nella vita sociale.
Sul piano abitativo, la famiglia – inizialmente trovata in un casolare fatiscente immerso nel bosco – avrebbe ricevuto l’offerta di una nuova sistemazione, ma i magistrati segnalano che “resta incerta la determinazione dei genitori a stabilizzarsi nella nuova abitazione”, ricordando come in passato “abbiano presto abbandonato altra casa messa a loro disposizione”. Per ora, spiegano, “l’aspetto dell’idoneità dell’abitazione può essere momentaneamente trascurato”, ma resta cruciale ai fini della tutela dei minori.
A preoccupare maggiormente il Tribunale sono però le gravi lacune educative rilevate durante le verifiche nella casa famiglia di Vasto, dove i bambini sono ospitati dal 20 novembre. Gli accertamenti condotti a dicembre hanno infatti rivelato una forte “lesione del diritto all’istruzione”, in particolare per la figlia maggiore, che “non sa leggere né scrivere”.
Nel provvedimento si richiede quindi la formulazione di una programmazione didattica mirata, per garantire un recupero graduale delle competenze scolastiche di tutti e tre i figli. Nel caso in cui i genitori decidano di proseguire con l’istruzione parentale, dovranno essere individuati specifici precettori per le materie in cui risultano carenti.
Per i magistrati si rende ora necessario un accertamento tecnico approfondito sulle capacità genitoriali, proprio in virtù delle scelte di vita “non convenzionali” adottate dalla coppia e del carico educativo che ne deriva. L’indagine dovrà inoltre valutare il livello di collaborazione dei genitori con i professionisti dei servizi sociali e della sanità pubblica.
Il Servizio di Neuropsichiatria Infantile sta intanto completando la propria valutazione, ma, secondo l’ordinanza, non risulta ancora superata la lesione del diritto dei minori alla vita di relazione: i bambini mostrerebbero imbarazzo e difficoltà di interazione con i coetanei all’interno della comunità.
Ulteriori segnali di rigidità emergono dall’atteggiamento della madre, che – come si legge nel documento – “pretende che vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole della comunità”, comportamento che fa “dubitare della sua volontà di cooperare stabilmente con gli operatori nell’interesse dei minori”.
Il Tribunale proseguirà ora con gli accertamenti e attende gli esiti dello studio psico-diagnostico affidato alla psichiatra Simona Ceccoli, che avrà 120 giorni per depositare la relazione.