Il diciottenne romano accusato di istigazione o aiuto al suicidio ha chiesto due anni e mezzo con lavori di pubblica utilità. I legali dei familiari: “Una pena non congrua né giusta”
PERUGIA – Si è aperta davanti al giudice per le indagini preliminari di Perugia l’udienza per la richiesta di patteggiamento avanzata dal difensore del diciottenne romano accusato di istigazione o aiuto al suicidio in relazione alla morte di Andrea Prospero, il diciannovenne di Lanciano trovato senza vita nel gennaio scorso in un bed and breakfast del centro storico del capoluogo umbro.
In aula, accanto all’indagato e ai suoi avvocati, erano presenti anche i genitori e i fratelli di Andrea, assistiti dai legali Francesco Mangano e Carlo Pacelli. La famiglia si costituirà parte civile, sottolineando di non voler perseguire alcuna vendetta, ma di cercare “giustizia per una condotta che ha determinato la morte di un ragazzo di appena diciannove anni”.
I difensori dei familiari hanno definito la pena proposta – due anni e mezzo di reclusione, da scontare attraverso lavori di pubblica utilità – “non congrua né giusta”, ritenendo che non rispecchi la gravità dei fatti contestati.
Secondo la ricostruzione della Procura di Perugia, Andrea e il giovane romano si erano conosciuti attraverso Telegram, dove avrebbero intrattenuto lunghe conversazioni sul tema del suicidio. L’indagato, che la vittima non aveva mai incontrato di persona, avrebbe suggerito i farmaci ritenuti idonei per togliersi la vita, poi effettivamente acquistati dal ragazzo abruzzese.